Scottex e l'Estetica della Crapula
Mi chiamo Scottex, ho cinque anni e mezzo e sono uno splendido Jack Russell Terrier anche ora che non ho niente da mangiare.

In realtà fino a qualche settimana fa avevo la pancia così piena che quasi non riuscivo ad abbaiare o poggiare le zampe in terra ed è lì che ho pensato alla crapula.

La crapula, una parola così densa da riempire le fauci di desiderio e goduriosa, lenta, ptialismatica ipersalivazione. (Vi ho impressionato con “ptialismatica” eh? E poi si dice sempre “sei un cane” quando non sai fare qualcosa, no? Ora provate a dire questa parola abbaiando se ci riuscite e poi ne riparliamo!)

La crapula, una parola che elettrrrrrrrizza la lingua e poi la bacia con le labbra, prima di chiudere l’esperienza vocale con una “ah” finale che sa di eiaculazione: crrra-pu-lahhh!

La crapula, una tipica parola che usava sempre quel cane lupo di Zio Paperone contro Paperino: “sei un ingordo, un crapulone!” Lo rimproverava severo, lui lo zio ricco, stitico e avaro, attraverso una parola forse poco diffusa, ma che per le sue doti ironiche, sintetiche, dogbotiche, oltre che per l’incredibile sonorità, risultava perfetta per sbeffeggiare il nipote.

La crapula, dal greco si compone di “kara”, che vuol dire testa e “pallo”, che vuol dire agito: faccio dondolare una testa di cane dolente perché ubriaca, persa nel senso e nella pienezza che fugge e se ne va.

La cra-pu-la, cra-pu-la, cra-pu-la, cra-pu-la, cra-pu-la…bere e mangiare senza ritegno, contegno e sostegno; oltre misura, postura, cottura e disordinatamente, molto disordinatamente. Atto di abbandono, con sfrenata voluttà al vizio e poi preparazione al niente a venire.

Perchè noi randagi non siamo messaggeri dei dogdèi, dei perrangeli, dei mercuri e neanche delle fate cagne, inviati dal cielo e dai fulmini a tempi stabiliti per elettrizzare la vita dei cani dopo secoli di tenebre, no!

Noi randagi la cuccia l’abbiamo abbandonata da tempo per rotolarci nel fango delle passioni e dei sogni impossibili, per arabbattarci senza mai perdere la speranza di poter addentare, un giorno o l’altro, qualche pezzo di carne grassa. E quando questo avviene, quando avviene…ah che la pancia si faccia capanna fino a strisciare per terra, seccare il rinario, tirare la coda, tagliare la corda e mollare il binario!

Perchè poi arriveranno mesi di stenti, penuria, desolazione, lentezza, accidia, ossi di seppia, carne ossuta, pelle e ossa, moderazione, vita anestetica, niente calore, continenza, astinenza, molta, molta, molta e non voluta astinenza.

Assai più che nella crapula
non sian tristi i baci e il riso,
i miei versi al fango attinsero ciò che niega il paradiso

Scriveva il maledetto discepolo del ” maledettismo” Emilio Praga, scapigliato, milanese, disordinato e dalla vita barboncina che lo lasciò in miseria nel 1875, a soli 36 anni, distrutto dai propri vizi con il solo merito di avere scritto qualche poesia e avere creato la SIAE: Società Italiana degli Autori ed Editori. (E che per questo gli possa andare la coda su per il…perrodiso! Perrodiso volevo dire, sì…pace alla coda sua)

“Non si possono raddrizzare le zampe ai cani”, dice un detto.

Sì perchè nella crapula sono tristi i baci e triste è il riso, come triste è tutto quello che sai di perdere qualche istante dopo averlo conquistato e che quindi assapori in ogni sua porzione, frazione, intenzione desiderando una completezza che non potrà mai essere, perchè quel desiderio che sembra sconfinato è tale solo perchè nasce da quella stessa tristezza.

“Non si possono raddrizzare le zampe ai cani”, dice un detto.

E come quella tristezza è capace di innalzarti per un istante verso il perrodiso della felicità così ti lascia cadere nel fango, quel fango che alla fine desideri perchè parte del tuo essere, quel fango nel quale sprofondi come sprofonderebbero tutti i tuoi desideri se anche si realizzassero, quel fango nel quale ti rotoli fino a desiderare di scioglierti in esso per dimenticarti di esistere.

“Non si possono raddrizzare le zampe ai cani”, dice un detto e neanche le pance storte da dove nascono poesie storte e randagie che alla fine sono l’unica ragione per la quale continui a vivere.
In attesa della prossima crapula.

(Illustrazione di Mandarjno)