Io e Antonio Novaes
“La vita è un appuntamento al buio che sa di rum e di nicotina.
È un universo fittizio di punti linea e fotogrammi, cucito in modo approssimativo da una “Singer” a manovella specializzata in ricami e orli.
Orli sul ricamo e ricamo sul niente. La base è sempre piana: è il rilievo a cambiare, il rilievo!
A volte si incontrano punti annodati; altre volte punti a catenella doppia, tripla, quadrupla, sia ad un ago che a due anche nelle varianti a zig-zag.
Le peggiori.

Il consiglio è quello di dotarsi sempre di una vasta scelta di bordatori che abbiano un’unica indicazione: ricucire e suturare, suturare e ricucire, e suturare e ricucire…
Indicazione che per la maggior parte dei casi, c’è chi dice superiore ai due terzi, viene disattesa. Fanculo la statistica”.

Il giorno che il mio cervello partorì questa definizione fibrosa della vita, ero seduto sulla Metro A di Milano e di lì a poco avrei per la prima volta incontrato Antonio Novaes.

Era da un po’ che sentivo la mia esistenza un unico e geometrico appuntamento al buio con se stessa, come il nervoso intervallo che intercorre tra un passo e l’altro, a piedi nudi, al buio di notte, su una ventosa e fredda scogliera invernale.

E, per quanto fossi in piena periferia di Milano, fu invece il calore di una spiaggia tropicale a sorprendermi quando incontrai per la prima volta Antonio.

Un sorriso di quelli caldi che ti mettono subito a tuo agio, su degli occhi così curiosi da dare l’impressione di essere sempre pronti a scoprire il più piccolo particolare e una voce di quelle dense e corpose che quasi la potevi sentire ad ogni sibilo condursi dietro tutto il peso e la forza del corpo e soprattutto arrivare in ogni dove per toccare, toccare, toccare ogni più piccolo e nascosto angolo di pareti, soffitti, atmosfere, volte e pianeti.

Così trovai Antonio Novaes e lui trovò me. Lavorammo a tanti spettacoli, serate, note, musiche, vibrazioni, racconti e vite: le nostre e di tutti coloro che ci videro all’opera.

Poi l’ultima notte, prima del ritorno di Antonio in Brasile, nacque “Memorias de um Duplo”.

Un doppio racconto di una notte al risveglio, una di quelle notti sgangherate che vorresti ricordare al dettaglio e che invece si perdono in un puzzle di informazioni nebulose. Coriandoli di ricordi narcotizzati che hanno cambiato la tua realtà forse per sempre, orientato la diligenza della tua esistenza in una direzione sconosciuta, ma dei quali, inaspettatamente, non conservi memoria.

Un doppio racconto con un doppio livello di narrazione. Un manuale di sopravvivenza per rimanere vivi dopo una notte nella quale il livello dell’alcol ha superato quello del sangue, e un salto nel passato con un piede di qua e un altro di là dall’Atlantico su una testa che scoppia, tra le nuvole.

Un doppio racconto a doppia velocità, ritmo, battuta, palpito, battito, aria, melodia, motivo e lingua.

Un doppio racconto a doppia mandata, andata e ritorno dentro un unico e geometrico appuntamento al buio, che qualche volta si rischiara un pò grazie a persone speciali che la vita ci dona.