Huayna PichuDomenica 21 luglio. Milano, lato tangenziale est quasi parallelo sub-equatoriale. Spengo il ventilatore, esco di casa, carico la bicicletta in metro, direzione Bisceglie poi prendo la ricorsa, salto sopra l’oceano Atlantico e, d’incanto, mi trovo in Perù: “2ndo FESTIVAL “PERU DE MIS AMORES”, 2012 – Fiestas Patrias!”

A dire il vero mi sembra che la festa per il giorno dell’indipendenza dalla Spagna sarebbe il 28 luglio ma evidentemenete i peruviani stanno prendendo lezione dai milanesi nella pratica dell’efficienza e della fretta programmatica…

Faccio qualche passo e metto piede in un salone spazioso e rimbombante, con cornice di tavoli apparecchiati con occhi inca, birra rigorasamente in lattina, maglie rosso acceso, papas (e donne) dolcemente rellenas e aji di gallina.

Bambini vestiti con i colori del Perù si lanciano di corsa al centro della sala sembrando quei fenicotteri dal petto bianco e dalle ali rosse, che ispirarono José de San Martín quando creò la bandierà della nazione nel 1825.

Nelle orecchie la musica dei Musphay poi dei Yapunay: peruviani e boliviani uniti nel costruire delle liane di note andine sulle quali si arrampicano a salti e volteggi gruppi folclorici danzanti.

E poi, in fondo, come da protocollo, un dipinto del Machu Pichu, nel quale però inaspettatamente, sembra essere data una preminenza maggiore alle montagne dell’Huayna Picchu.

Guardo quel dipinto e mi viene in mente che secondo alcune teorie proprio quelle montagne, che disegnano nella terra un volto che guarda il cielo, convinsero gli Inca a costruire lì la loro città sacra pronti un giorno ad arrampicarsi su quello sguardo e prendere posto tra gli Dei (evento che forse si verificò veramente quando alcuni di loro sparirono senza lasciare traccia, preservando così il Machu Picchu dall’invasione per oltre quattro secoli).

Mi miguardo intorno e osservo quei volti caldi, spigolosi e alteri, volti “quechua”, “aymara” e “mestizos”, volti di contadini della “Sierra”, volti di indios e di emigranti un giorno saliti su un volo intercontinentale direzione Europa: la terra dei conquistadores ma anche della democrazia, del benessere e della Chiesa.

Emigranti arrivati in un nuovo Eldorado per inseguire un grande sogno che nasceva lì, su un aereo, tra le nuvole e il cielo: il sogno di fuggire dalla miseria e conquistare un futuro più dignitoso.

Un sogno.

Un sogno molto spesso nato negli anni ’80 e ’90 del secolo passato, quando per non rimanere stritolati tra il liberismo sfrenato di Fujimori e il terrorismo letale di Abimael Guzmán, molti peruviani fecero dell’emigrazione il loro “sendero luminoso”.

Un sogno.
Un sogno di senza sogni.
Un sogno di senza scelta.
Un sogno di quei sogni che sanno di sacrificio per il futuro perchè: “oggi no, ma domani i nostri i figli saranno finalmente liberi e felici. Che lì poi in Europa c’è la democrazia, lì sì che le cose le sanno fare mica come in Sud America…”

Un sogno.
Un sogno nato prima dell’Europa unita.
Un sogno nato prima di diventare “un permesso di soggiorno”.
Un sogno nato prima di diventare extracomunitario.
Un sogno nato prima di spread e differenziali.
Un sogno nato prima di una delle peggiori crisi del capitalismo.

Oggi i loro figli non sono più peruviani e non sono ancora italiani.
Qualcosa mi dice che come lo Stato italiano ha fatto finta di non vederli, la “crisi” li metterà in cima alla sua lista di preferenza e in questo modo saprà scovarli, accudirli e prendersi cura di loro.

Mi volto e chiedo se qualcuno conosce ancora il segreto per salire in cielo e prendere qualche nuvola per il collo.

Dietro a me c’è un ragazzo con occhi inca-vati e denti sporgenti. Sembra annoiato e allora tira fuori dallo zainetto un fumetto di spiderman e comincia sfiogliarlo. Mi avvicino. Io parlo in spagnolo e lui mi risponde in italiano e mi dice di comprare un biglietto della lotteria della festa: primo premio depilatore Braun silk-épil.

Non demordo e gli faccio tutto un discorso arzigogolato sulla depilazione dei nuotatori, l’aerodinamica e il volo.
Mi offre un pisco sour.
Doppio.